Finalmente un nuovo racconto! Niente da dire… se non “era ora!” e “buona lettura!“. |
“Ecco il pezzo più pregiato della collezione – disse Angelo Balli, guida appassionata e proprietario del museo al gruppo di studenti annoiati che lo ascoltavano ormai da quasi un’ora – si tratta di una statua egizia assolutamente particolare, segue canoni estetici più greci che egizi, ma la coda di gatto che hanno i due amanti, che come potete vedere si abbracciano molto teneramente, dimostra al di là di ogni dubbio la sua provenienza egiziana ed il culto della dea Bastet . Oltre al fatto, naturalmente, che è stata ritrovata nella Valle dei Re…”
“Le sembra una cosa da far vedere ai ragazzi questa… questa… questa pornografia! Un ragazzo ed una ragazza che si baciano così lascivamente? – lo interruppe accalorata la preside della scuola – andiamo via, Colori, porta via i ragazzi. E poi… quella coda è sicuramente un segno del diavolo!”
Il giovane professore di storia dell’arte Francesco Colori ignorò le proteste dei suoi studenti che dopo una gita scolastica decisamente noiosa avevano finalmente trovato qualche cosa che stuzzicasse il loro interesse, o almeno i loro ormoni, e guidò la sua classe al pullman che li avrebbe riportati verso il loro liceo.
Colori, nonostante fosse molto più concentrato sulla sua imminente vacanza a Sharm che sulla visita a quella sconclusionata collezione privata che Balli, si ostinava a chiamare “museo”, era rimasto molto colpito da quella statua. Non per l’anomalia storica che rappresentava, ma perché quella procace ragazza con la coda felina gli
ricordava nei lineamenti la sua amata Caterina. “Aveva gli occhi chiusi ed era appoggiata sulle punte dei piedi proprio come lei quando mi bacia! Che strana coincidenza. Ed anche la mano di lui era appoggiata… proprio dove l’appoggio io, vicino alla coda”.
Francesco Colori era ormai rassegnato a tornare alla sua quotidianità che consisteva per lo più nell’ascoltare le scuse che i suoi studenti inventavano per non essere interrogati e nel subire le urla isteriche e spesso immotivate della sua preside. La vacanza con la sua Caterina sul Mar Rosso era quasi finita. Dopo una settimana di relax a bordo piscina, di immersioni tra i pesci tropicali e di cene romantiche rimaneva solo l’escursione alla Valle dei Re, tra le piramidi, poi la vacanza sarebbe finita.
Caterina era entusiasta, le piramidi erano così maestose, ma la Sfinge le era piaciuta in maniera particolare, aveva sempre avuto una passione per i felini. Proprio per guardare ancora il monumento Caterina e Francesco rimasero indietro rispetto al gruppo. Quando si resero conto di essere rimasti indietro corsero verso l’autobus che li aveva portati lì. Dopo qualche minuto realizzarono di essersi persi.
Intorno a loro videro alcune colonne, i resti di un antico tempio che Francesco non faticò ad identificare come di stile greco, ionico per la precisione, nonostante fossero ormai consumate dalla sabbia, dal vento e dai millenni.
Non ci volle molto a ritrovare la strada ed il gruppo, ma quel tempio restò impresso nella mente dei due innamorati come se fossero già stati li insieme molto, molto tempo prima.
Una volta tornati al villaggio turistico, prima di preparare le valige per il rientro in Italia, chiesero alla loro guida, un anziano egiziano, cosa fossero quelle rovine.
“Era il tempio della dea Bastet – rispose l’uomo – al centro era posta la statua più bella di tutto l’Egitto, ma libri non ne parlano. La statua raccontava una storia triste ed un amore immenso… ma è andata perduta“. Questo fu tutto quello che i due innamorati riuscirono a sapere, l’anziana guida non volle dire altro, nonostante la generosa mancia offerte da Caterina e Francesco.
Tornati in Italia fu quasi naturale per Francesco portare Caterina a vedere la statua nella collezione privata di Angelo Balli. “Museo, è un museo, ed è molto più ricco di storia e meglio conservato di tanti musei pubblici – precisò Balli nei confronti di Colori, i due si punzecchiavano spesso su questo tema – la statua che ti interessa tanto la portò dall’Egitto un mio avo, volontario nell’esercito napoleonico. Non si sa quasi nulla di lei, nei tuoi manuali di storia dell’arte non troverai nulla. Nessuno se ne è mai interessato più di tanto“.
“Ma non c’è modo di trovare qualche informazione?” Chiese, un po’ delusa Caterina.
“Potresti far tradurre i geroglifici sul piedistallo” suggerì Angelo.
“Ma come? Appartiene alla tua famiglia da due secoli e non li avete mai fatti tradurre?” Chiese stupito Francesco.
“Sai quanto costa far fare una traduzione dal Museo Egizio di Torino?” Ribatté Angelo.
Mentre i due litigavano Caterina aveva già trovato la macchina fotografica che portava sempre nella sua borsa ed aveva accuratamente fotografato i geroglifici.
Alcuni mesi dopo Caterina stava aspettando Francesco all’uscita della scuola con una busta in mano. Il mittente sulla busta era il Museo Egizio di Torino.
Suonata la Campanella e congedati gli studenti Caterina e Francesco passeggiarono per alcune centinaia di metri, fino a raggiungere un parco, si sedettero sotto una grossa quercia, ignorarono la lettera del direttore del museo e iniziarono subito a leggere la traduzione.
“Il crimine di Efidio il greco, scultore e architetto e, Clerocia, figlia di faraoni, di aver mischiato il sangue dei figli del sole con quello di uno straniero, non può essere perdonato, ed i colpevoli saranno uccisi domani mattina al sorgere del sole. La dea Bastet misericordiosa e protettrice degli innamorati accetta il dono di questa statua e decreta che Efidio il greco e la sua amata Clerocia, figlia di faraoni, si incontrino ad ogni generazione da oggi e per sempre e continuino ad amarsi“.
Francesco e Caterina, non dissero nulla. Si alzarono in silenzio. Caterina si alzò sulle punte e chiuse gli occhi, Francesco la baciò. E con la mano accarezzò Caterina esattamente nello stesso punto in cui Efidio accarezzava Clerocia.