Domenica pomeriggio ho visto, al teatro la Fenice, lo spettacolo di Zanza Targato H. All’uscita ho incontrato la mia scrittrice preferita e amica Chiara Michelon. Chiara era li per piacere, non per scrivere un articolo, ma lei aveva comunque voglia di scrivere qualcosa ed io avevo voglia di leggere le sue sensazioni sullo spettacolo, così per la prima volta da quando ho aperto il blog, lascio la parola a Chiara… |
Metti che quando esci dalla pancia di tua madre non sei proprio in forma. Metti che c’è qualcosa in te che fa sì che gli altri ti chiamino “handicappato”. Metti che però non hai nessuna voglia di starti a piangere addosso, ma che vuoi riderci sopra, sdrammatizzare, insomma, “ridere di un dramma”.
David Anzalone, per noi tutti – e ora anche per l’Italia intera – “Zanza”, tutte queste ipotesi le conosce bene, lo hanno accompagnato fin da bambino e ha imparato a riderci sopra. E alla fine ridi anche tu, spettatore di uno show teatrale davanti al quale non sapevi come arrivare preparato. Non sapevi se avresti sorriso o se invece ti saresti fatto salire un magone indescrivibile.
Diciamo che sono vere entrambe le cose, ma invece di sorridere, davanti a Targato H, ti viene proprio da ridere perché Zanza è un fenomeno. In televisione si dice che un attore bravo spacca lo schermo. In teatro non so come si dice, squarcia il sipario? invade il palco? Insomma, Zanza ha una potenza espressiva rara.
E la regia di Alessandro Castriota sa prendere delle sue smorfie e dei suoi sberleffi il meglio, costruendo una storia dolce-amara che diventa irresistibile. Esorcizzando quella riverenza affettata che tutti noi, inevitabilmente, rivolgiamo ai disabili, lo spettacolo di Zanza ci fa ridere di qualcosa per cui la nostra morale ci impediva di ridere. Ed è questa la grande forza, questa la vera originalità di uno spettacolo come Targato H.
Non una risata isterica nata dal non saper come reagire, ma una risata sincera, pulita, bella. Grottesca, forse, sì. Ma non è forse arte quella del grottesco? Non è forse geniale ribaltare tutte le nostre piccole sicurezze e vomitarcele addosso a testa in giù?
Se in televisione regnano buonismo e censura, nello spettacolo Targato H buonismo e censura non appaiono neanche tra le comparse. Non esistono. Zanza le fa a fettine e le cucina a fiamma alta. Perché scherza con armi potenti e taglienti sul sesso, sulla politica, sulla scuola, sulla società tutta. E non risparmia nessuno, nemmeno se stesso. Presentando di sé il lato più sofferto, dandosi in pasto al pubblico con i suoi rimorsi e i suoi dolori – con ironia, sia chiaro – e anche il lato più irriverente e gioioso della sua vita.
Sa spiazzarci mentre si rammarica di non avere una carrozzella sotto il sedere e sa farci commuovere mentre implora una maschera del teatro per entrare gratis.
A tratti m’ha ricordato Benigni, il provocatore senza peli sulla lingua, un po’ bambino un po’ cattivo. È dalla qualità della risata che Targato H ci ha provocato che misuro la potenziale qualità del successo che si merita. Ridere con intelligenza è una delle cose per cui vale la pena vivere.
Grazie Zanza, allora, grazie al regista, che hanno saputo stupire con effetti per nulla speciali. Grazie per avermi fatto uscire da teatro una domenica sera gonfia di emozioni. Contrastanti, certo – un groppo alla gola mescolato a una risata vera e a una rabbia interiore– ma ormai troppo rare.
E dietro quelle sbarre di metallo, metaforiche ma anche assolutamente tangibili, che hanno ghiacciato il palco nel finale di Targato H, non sapete quanto viene voglia di metterci qualcuno… qualcuno che non ha capito niente della disperata voglia di vivere la vita.
Chiara Michelon
Un po’ di link:
La mia recensione della prima di Targato H.
La mia intervista a David Anzalone alla vigilia dello spettacolo.
Un’intervista a Chiara Michelon di Giulia Angeletti.
Targato H.
Il sito di Zanza.